Che con questo modello di vita non si vada da nessuna parte sembra essere sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno di noi ha forse le idee abbastanza chiare per cercare fino in fondo quel che non va e conseguentemente proporre alternative reali e condivise. Sappiamo tutto sulla globalizzazione, sull’innalzamento delle temperature e le minacce alla natura e alla vita, ma purtroppo assistiamo frustrati al declino e alla corsa verso l’abisso con un misto di fatalismo e rassegnazione.
Ma cerchiamo di capire meglio.
Pierre Dardot e Christian Laval, con La nuova ragione del mondo, hanno portato a fondo una critica ragionata dell’attuale modello capitalistico e neoliberista partendo da alcune semplici domande: Com’è possibile che nonostante le catastrofiche ripercussioni cui hanno portato le politiche neoliberiste, queste ultime siano sempre più attive, al punto da precipitare interi Stati e società in crisi politiche e regressioni sociali sempre peggiori? Com’è possibile che, negli ultimi trent’anni, queste stesse politiche si siano sviluppate e approfondite senza aver incontrato resistenze sufficienti a metterle in crisi? Già, com’è possibile aver potuto barattare una società dove ancora erano presenti fiducia e rapporti umani in una dove invece l’unica forma di comunicazione sia il denaro e la ricchezza economica e finanziaria. Certo, i problemi c’erano anche prima, ma almeno la gente si guardava in faccia e non si parlava solo di PIL e borse che vanno su e giù…
È logico aspettarsi allora che in un momento storico dove le prospettive sono solamente negative ci si rifugi in un’immagine edulcorata del passato, al grido di battaglia del “Si stava meglio quando si stava peggio.” e questo è esattamente quanto ha fatto Zygmunt Bauman in Retropia. Baumann avverte: “Abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso. Alla ricerca di un passato che non esiste più e certi che un futuro, da habitat naturale di speranze e aspettative legittime, si trasforma in sede di incubi: dal terrore di perdere il lavoro e lo status sociale a quello di vedersi riprendere le cose di una vita, di rimanere impotenti a guardare mentre i propri figli scivolano giù per il pendio del binomio benessere-prestigio, di ritrovarsi con abilità che, sebbene faticosamente apprese e assimilate, hanno perso qualsiasi valore di mercato.”
Le cose si stanno comunque muovendo e, che ne siamo coscienti meno, presto questa voglia/necessità di uscire da questo pantano che ci siamo creato porteranno a una consapevolezza nuova e faranno sbocciare tutti i semi che tanti visionari nel mondo stanno piantando proprio in questo momento. Non saremo noi a dare soluzioni o indicazioni; se vorrete, saprete essere in grado di cogliere le informazioni da soli e noi vi lasciamo solo con un unico, piccolo indizio: si accennava sopra al PIL, il famigerato Prodotto Interno Lordo, come formula magica per comprendere il benessere di uno stato, ebbene, siete proprio sicuri che sia il solo e unico modo per farlo? Vi invito a scoprirlo qui. Potremmo anche parlare a lungo delle smart grid e delle connessioni tra piccoli produttori domestici di energia elettrica e consumatori, o anche dei nuovissimi metodi di isolamento termico o delle monete complementari a sostegno dell’economia locale. Potremmo parlare anche del perché continuiamo a restare legati al petrolio nonostante la tecnologia che lo supera per quanto riguarda i carburanti sia già vecchia di 40 e passa anni o perché non riusciamo a mandare al diavolo tutta la schiera di politicanti che non riesce o non vuole vedere più là del proprio naso.
Potremmo, appunto, ma in questo momento non ci va e lo spazio non sarebbe comunque mai abbastanza: per questo lasciamo la parola alla testa lucidissima di quel giovanotto novantenne di Noam Chomsky che, in Ottimismo (malgrado tutto), parla proprio del bisogno di lottare per un mondo diverso, anche perché ne va della sopravvivenza dell’Homo Sapiens, mica finferli!
Stiamo per chiudere, ma visto che ci vogliamo bene, non possiamo che farlo con il piede giusto e per lasciarci col sorriso sulle labbra, lo facciamo presentando l’ottimo libro di Enrico Giovannini, L’utopia sostenibile, testo a noi fondamentale perché per ripartire e costruire serve un progetto e se non c’è il progetto bisogna partire ancora da prima, direttamente dal sogno, anzi, dall’utopia. Sì, perché per costruire un futuro migliore ci serve esattamente questo: un’utopia. Un’utopia sostenibile. È la via maestra che Enrico Giovannini indica per il raggiungimento entro il 2030 degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’ONU. Fame, salute, acqua, povertà, energia, infrastrutture, occupazione, disuguaglianze, clima, pace, istruzione sono questioni che si affrontano solo con un pensiero integrato e il concorso di forze politiche, economiche e sociali. Continuare a pensare e ad agire come nel passato vuol dire far precipitare il nostro mondo in una profonda crisi ambientale, economica, sociale. È richiesto l’impegno di tutti e un profondo cambiamento del modo in cui leggiamo e affrontiamo i problemi che ci circondano.
Buon sogno e buon futuro a tutti noi, che, in questo momento di crisi pre-elettorale, un bel futuro ce lo meritiamo proprio!