Contro ogni dittatura e per il libero pensiero

Oggi l’obiettivo è grande, e parlare di libertà e di dittatura grazie ai libri è sicuramente molto stimolante: si può per esempio discutere di libri che aprono il cervello a nuovi orizzonti, che a volte lo chiudono, ma tendenzialmente il libro è da sempre l’esempio più lampante di libertà. Di pensare e di pensiero, di diffusione di idee, di confronto, di apprendimento e di formazione, oltre che di anguria.1024x768mero intrattenimento; il libro è quella cosa che ci fornisce gli strumenti, anche banalmente linguistici – le parole – per pensare concetti nuovi che prima non esistevano. Guardate, questa cosa è importante, rifletteteci un momento: se penso a un cocomero, mi viene immediatamente in mente il peso non indifferente, mi viene in mente il rosso della polpa e naturalmente la sua dolcezza e il piacere che ho io a mangiarlo. Per questo motivo, per definire tutto questo, qualcuno a suo tempo ha inventato la parola “cocomero” e, se me la togliete, mi private anche di un mezzo per definire “quella cosa che pesa molto, che è verde fuori e rossa dentro, che ha i semini, che si mangia d’estate e che è buonissima”. Non vi sentite un po’ più poveri senza quella parola? Magari verrà qualcuno e ne inventerà una nuova per definire “quella cosa verde, ecc., ecc.”, perché questo sono le parole – veicoli di qualche altra cosa: idee, cose, concetti astratti, tutto quello che possiamo e vogliamo conoscere. Ecco quindi che chi mi toglie le parole, non mi fa un piacere così devo ricordare meno cose, ma mi fa una grave violenza, perché mi priva della possibilità di conoscere e di pensare. E se ci pensate bene è dittatura anche questa: togliere le parole per non immaginarle più; come direbbe Saussure, togliere il significante per cancellare il significato.

Tutta questa bella introduzione per presentare tre libri, due classici e uno sicuramente da leggere, che di questo tema parlano: perché sappiamo riconoscere il pericolo e siamo in grado di difendere le nostre libertà.

Iniziamo quindi con il più classico dei classici: quel “1984” di George Orwell che è diventato profeta di un sacco di cose, a 1984partire dal Grande Fratello, un concetto bel più angosciante rispetto a osservare una ventina di debosciati nullafacenti per 24 ore al giorno (anche se, a ben pensarci, può essere inquietante anche questo). Prima di parlarne brevemente, visto che si tratta giustamente di un testo famosissimo, diamo qui il link per scaricarne una versione in pdf e vi invitiamo anche a vederne la versione cinematografica, che mantiene le stesse atmosfere claustrofobiche del libro, ma leggerlo, naturalmente, è meglio. Allora, quindi, per chi si fosse catapultato qui adesso da un altro pianeta, varrà la pena fare un piccolo riassunto del libro, tanto per sapere di che stiamo parlando, che comunque ha anche una pagina tutta sua su Wikipedia: Winston Smith vive in Oceania, uno dei tre grandi stati in cui è diviso il mondo (gli altri sono Eurasia e Estasia) e che sono in perenne conflitto tra loro per accaparrarsi le terre rimaste ancora libere. Il paese è governato dal Partito, che guida attraverso il Ministero dell’Amore, della Verità e altre entità che tutto hanno tranne quello che dice il nome (il Ministero dell’Amore si occupa di promuovere il bispensiero, su cui si fonda tutta l’ideologia totalitaria del regime e di fare in modo che sia rispettato tramite gli interventi mirati della psicopolizia, mentre il Ministero della Verità si occupa di scrivere e riscrivere la storia e i fatti, così che il Grande Fratello, l’ente alla guida dello stato, abbia in pratica sempre ragione) e si ritroverà a cospirare, assieme a Julia, contro il governo. Scoperto, sarà torturato e costretto a fare i nomi dei suoi complici, per poi essere rieducato e finire a sostenere a gran voce le ragioni del Grande Fratello. Un romanzo duro, terribile, un colpo definitivo a ogni possibilità di pensiero individuale e a tutti i sentimenti, che – giustamente – vengono giudicati pericolosi per l’establishment del potere. Un mondo grigio, dove i colori sono banditi così come banditi sono tutti i tentativi di soggettività e di realizzazione personale: tutto, dal perenne stato di guerra alle sortite degli psicopoliziotti, serve solo a mantenere il potere di una ristretta oligarchia e tutti gli altri sono solo pecore da destinare al mattatoio.

Vi dice niente questo?

Andiamo avanti con un altro bel pugno nello stomaco, “Fahrenheit 451”, di Ray Bradbury. Un’altra bella storia distopica (la Fahrenheit 451distopia sta a indicare una società o comunità altamente negativa e non augurabile, come è possibile leggere qui), ambientata in futuro alternativo governato da una bella dittatura che l’autore si immaginava nel 1951 (“1984” è del 1947/48, periodo interessante, non trovate?), e anche qui si parla di un regime totalitario, dove il governo controlla la popolazione attraverso la televisione (usata come mezzo di propaganda e di insegnamento) e l’ignoranza (anche qui nessun campanellino che suona?). Il protagonista è un pompiere, diverso dal vigile del fuoco che conosciamo, perché questo ordine si reca là dove ci sono libri, assolutamente vietati dal potere, e li brucia e, e, mentre dapprima è assolutamente fiero del lavoro che svolge, una fugace lettura di un libro prima di ardere e la conoscenza di una ragazza lo porteranno a rivedere tutte le sue convinzioni e ad arrivare a tradire lo stato che prima serviva e a diventare un reietto. Conoscerà,  appoggerà e si unirà poi a un gruppo di veri e propri “libri viventi”, persone che hanno imparato a memoria quei testi che sono diventati preda delle fiamme e che così possono tramandarli e trasmetterli ad altri. Un romanzo potente, che sicuramente può e deve far pensare: a noi, alla nostra società, alla cultura in senso lato, a che cosa significa “cultura”, al diverso, all’accettazione del diverso e delle idee altrui, al potere della fantasia e dell’immaginazione e alla paura che il potere ha della cultura e dell’immaginazione, per cui siamo adesso arrivati purtroppo all’opposto del passato. Uccidere la cultura e chi la trasmette è dispendioso e poco popolare, e allora è forse meglio screditare chi cultura la fa e passare il messaggio che sia più “fico” essere ignoranti, irrispettosi e incuranti di tutto. Ecco, in questo caso il regime della non-cultura, della non-partecipazione, della mediocrità totale ha perfettamente vinto (e anche questo vi dice niente? No? Ma in che mondo vivete?).

Ultimo romanzo di questa minirassegna di storie e ambientazioni distopiche è in verità una pubblicazione recente dal titoloParole in disordine “Parole in disordine”, di Alena Graedon, ambientata in un presente leggermente diverso dalla realtà, dove i cellulari sono stati soppiantati dai meme, degli apparecchi quasi senzienti che interpretano i bisogni dell’utente e si comportano di conseguenza, scrivendo e contattando le persone per i bisogni dei padroni e andando anche a interpretarne i desideri e prevenendone i desideri, per cui i taxi sono chiamati anticipandone l’idea stessa e le pizze a domicilio vengono consegnate al minimo accenno di fame. Ma questa sarebbe la meno, il fatto vero è che presto le persone che lo usano – cioè praticamente tutti – presto inizieranno a non usare più la propria lingua, al grido che ci pensa il meme a fare tutto, e prima di quanto credano si troveranno vittima di un gioco dall’intento iniziale di dare nuovi significati a significanti vecchi o appena inventati di sana pianta, ma che presto li priverà delle parole, e se le persone le vorranno di nuovo dovranno pagare un’apposita app. Vi sentite angosciati al pensiero di perdere le parole della vostra lingua? No? E allora come fareste senza “deionizzato”? Forse sopravvivreste lo stesso, ma senza “pane”? O “figlio”? Le cose si farebbero certo più complicate, e si complicherebbero ancora di più se l’evoluzione del meme, il nautilus, fosse in grado di infettarvi con disturbi che vanno dall’afasia fino ad una febbre in alcuni casi mortale. Non dico di più per non svelare niente a chi volesse affrontare questo librone di 500 pagine ben scritte della Graedon, aggiungo solo che la sfida lanciata dall’autrice è stata forse solo vinta per metà, in quanto parlare di lingua e di sottrazione del linguaggio è tema già noto e difficile da manipolare, così come sono molte le domande lasciate senza risposta, tra cui  “la perdita delle parole è uguale per tutti o avviene in modo diverso da persona a persona?” è probabilmente la principale. Per avere un’idea di quello che un romanzo del genere può suscitare, in termini di impatto intendo, come dibattito, vi lascio leggere questa interessante recensione, che affronta alcuni temi linguistici che l’autrice a volte affronta in maniera forse troppo superficiale.

Non diventerà quindi probabilmente un classico della letteratura distopica, ma quest’ultimo romanzo ci servirà in questa rassegna per riflettere sulla nostra lingua, sulla sua importanza, sulla sua forza e al contempo sulla sua fragilità, per pensare – e pensare bene – a quello che diciamo, e che ogni parola ha una sua storia e un suo mondo, che la lingua è un mezzo per rapportarsi con la vita e che va rispettata.

Infine, visto che abbiamo parlato di romanzi distopici, varrà la pena ricordare e linkare brevemente anche un ottimo fumetto ambientato sotto un regime dittatoriale, “V per Vendetta“, e ricordare che letteratura per giovani lettori è molto ricca di questo filone, da Hunger Games a Divergent e moltissimi altri, per cui i libri davvero non mancano.

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