La morte. E allora?

Ebbene sì, la morte c’è ed è un fatto naturale: sarà bene che incominciare a conviverci il meglio possibile, tanto lei viene, fa il suo dovere e i cocci sono tutti nostri. Perché, parliamoci chiaro, del defunto a noi interessa proprio poco, speriamo che sia andato nel posto giusto e poi bòn, a noi interessa il vuoto che lui/lei ha lasciato e il nostro dolore, come è umano che sia. E allora parliamone, di questa sorella dalle lugubre vesti, parliamone e vediamo di capirla un po’ di più grazie a tre libri che andiamo adesso a presentare, e magari cerchiamo anche di riderci un po’ su, ché alla fine sarebbe anche meglio.

“Il povero Piero” è un libro di Achille Campanile, poliedrico intellettuale della prima metà del secolo scorso, noto per un sacco di cose, che se volete le potete leggere tutte qui, ma soprattutto per il Il povero Pierosuo umorismo surreale e i giochi di parole. Nel nostro libro il buon Achille mette in scena la commedia umana della morte, con i suoi riti, le sue contraddizioni, i suoi personaggi e una buona dose di presa di giro del perbenismo imperante riguardo questo tema. Ma veniamo al libro: succede che Piero, l’involontario protagonista della storia, muore, poi “resuscita” e poi muore di nuovo, stavolta definitivamente, e la famiglia si trova costretta a tessere sotterfugi e inganni per non far trapelare la notizia perché il “povero Piero” voleva che si sapesse della sua morte solo a funerali celebrati; il fatto che la notizia invece  trapeli crea una serie di equivoci e di situazioni imbarazzanti ed esilaranti, fino all’assurdo, con personaggi manierosi e momenti tanto legati alla tradizione del lutto quanto vuoti di qualunque tipo di partecipazione emotiva. Un libretto, che è sbarcato anche in teatro (qui trovate lo spettacolo della Compagnia del Birùn), per guardarci allo specchio e ridere di tutti i nostri tic e comportamenti, a volte davvero assurdi, di quando siamo costretti a confrontarci con una tematica tanto pesante.

Ma visto che la morte non ci fa paura e che ci vogliamo così bene che siamo bravissimi ad esorcizzarla, andiamo avanti con un paradosso: e se la morte fosse l’unico modo per vivere davvero? No, non stiamo parlando di vampiri o di zombie, ma de “Il Il fu Mattia Pascalfu Mattia Pascal”, celeberrimo libro di Luigi Pirandello. La trama ve la racconto in quattro parole, tanto questo libro lo avrete già letto tutti, vero?, e se no, sarà bene che provvediate al più presto. Mattia Pascal ha una vita piatta, dopo aver dilapidato la fortuna di famiglia, sposa una donna che non ama e fa un lavoro che sente inadeguato, ma quando va a Montecarlo e fortuna vuole che sbanchi il casinò, anziché tornare a Miragno dalla famiglia, sfrutta l’equivoco sulla sua morte data dalla stampa per levare le tende e, soldi alla mano, per iniziare una nuova vita. Così cambia il suo nome in Adriano Meis, si trasferisce a Roma e si innamora della bella Adriana, ma qui iniziano a venire fuori i problemi legati alla sua vita in clandestinità, poiché senza i documenti non può sposarla, né può avere una vita piena da tutti i punti di vista, generando il paradosso che quando aveva “le carte” non viveva davvero e ora che ne avrebbe la possibilità non ha “le carte”. Decide quindi di tornare a casa e di “risorgere”, ma al paese nel frattempo tutto  è cambiato, in quanto la moglie si è risposata e le cose si sono messe in un modo tale che il Nostro si trovi così escluso di nuovo dall’ordine sociale della collettività, rimanendone di fatto ai margini peggio di prima. Un bellissimo libro che può farci riflettere sulla vita, sulla morte e sulla felicità, invitandoci a riflettere seriamente sulla vita che vogliamo e sui mezzi per ottenerla.

Chiude infine questa breve rassegna una storia che la morte la nega la-possibilita-di-unisoladel tutto, in quanto Daniel ha la possibilità di avere sempre a disposizione un corpo nuovo dove verranno travasate memoria e personalità ogni volta che morirà. Ma andiamo con ordine, il libro si intitola “La possibilità di un’isola” ed è scritto da quel Michel Houellebecq già autore di “Sottomissione” (recensito qui), e si tratta di un libro che di insulare non ha niente se non la condizione della razza umana, anzi, neo-umana, ridotta a poche centinaia di individui che vivono in uno stato di totale isolamento. Sì, perché per tutta una serie di motivi intrinseci che non sto qui ad elencare in un ipotetico futuro l’uomo si è finalmente e fatalmente estinto, fatta eccezione per i seguaci di una setta che, grazie alla replicazione del proprio DNA, hanno raggiunto uno stato di immortalità, a prezzo del mantenimento delle sole funzioni biologiche e sacrificando emozioni e sentimenti. Ma Daniel 24 comincerà a sentire tutto il peso di queste privazioni e Daniel 25 porterà questo malessere alle estreme conseguenze, evadendo dalla propria casa-prigione dorata e andando alla scoperta del mondo all’esterno, per trovare quel contatto perduto con la propria essenza animale e spirituale. Una storia di disagio legato stavolta alla non-morte tramite un abbandono volontario della propria umanità e di speranza tramite una non consapevole preghiera di felicità alla vita.

Il succo di tutto questo viaggio tra libri? Che la vita e la morte esistono e che di questo dobbiamo essere consapevoli, che non c’è vita senza la morte e non c’è morte senza la vita, che in ogni caso ci sono occasioni di dolore e di felicità e che in ultima analisi che ciò sia un messaggio di tristezza o di piacere può essere deciso da ognuno di noi, tanto nessuno scapperà: ognuno farà le proprie scelte, affidandosi a chi crederà sia il caso, mentre io intanto lascio chiudere questo articolo sui generis alla Livella del grande Totò e vi saluto augurandovi una

Buona Vita!

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