Parliamo di libertà cercando punti di vista differenti che ci verranno dati da tre libri particolari che abbracciano generi completamente diversi. Già, ma perché parlare di libertà? Non siamo forse liberi come garantito dalla Costituzione e dalla Carta dell’Uomo dei Diritti Civili? Bhe, certo, formalmente, ma questo concetto è così grande ed elevato che questo articolo si pone l’immeritato compito di cercare di parlarne, di illustrare quella condizione che va oltre lo scegliere quale detersivo comprare (ché magari poi si scopre che il produttore è sempre lo stesso…), perché alla fine nelle cose ovvie si trovano sempre gli interrogativi più grandi.
E allora iniziamo subito con un colpo basso dato da uno degli ultimi libri di Gianfranco Augias: “Il disagio della libertà”. Perché disagio? Perché la libertà è assenza di vincoli, di catene e questo significa anche assenza di parapetti, di funi di sicurezza, la possibilità di cadere nel baratro, di sbagliare e farsi male. I nostri genitori ci forniscono gli strumenti per affrontare questo mondo, e non possono decidere sempre per noi mentre cresciamo: lasciamo il mondo delle sicurezze per un salto nel vuoto attaccati ad una funicella e questo impareremo presto a chiamarlo “Vita”. Augias in questo resta più con lo sguardo rivolto alla società italiana nella sua storia, un popolo totalmente legato e condizionato da un cordone ombelicale di false certezze che sceglie l’immobilismo, l’inefficienza e persino il malaffare pur di non dover decidere con la propria testa. Siamo bravissimi a delegare, a creare dittatori e potenti di turno pur di non doverci sporcare le mani, pur di non doverci esporre, abbandonando la nostra libertà per una gabbia ovattata, se va bene. Un’indagine spietata, sperando che l’amara medicina possa servire per creare consapevolezza che la libertà, intesa come il rispetto e la cura dei diritti di tutti, non è un’utopia da sognare ma un traguardo verso cui tendere.
Libertà è anche possibilità di pensare ed esprimerci come vogliamo – sempre nel rispetto altrui, naturalmente – e con “Little Brother” di Cory Doctorow andiamo ad affrontare un tema tanto complesso quanto attuale: è giustificato sacrificare la nostra libertà per una maggiore sicurezza? Fino a dove possiamo tollerare intrusioni nella nostre vite se questo dovesse servirci a salvarci la vita? Quante telecamere, poliziotti, perquisizioni, intercettazioni, arresti preventivi ci vogliono per proteggerci? Guardate, la mia è una provocazione e non è certo con questo articolo che abbia intenzione di dare verità o dire cosa sia giusto o sbagliato: scopo della lettura è anche riflettere e imparare, anche perché certamente dentro un recinto ci si sente più protetti dall’esterno, ma è anche vero che dentro un recinto ci stanno anche i polli di Francesco Amadori. Ma torniamo al libro: siamo ai giorni nostri, San Francisco, un attentato dà il La a tutta la vicenda e in breve tempo l’adolescente Marcus si troverà suo malgrado arrestato e detenuto dall’Istituto di Sicurezza Nazionale, organismo ombra che spia i cittadini per la loro sicurezza. Una volta tornato in libertà, sfrutterà tutte le sue abilità di hacker e di leader per guidare una vera e propria rivolta giovanile contro l’autorità costituita e le paure degli adulti. Un romanzo che risulta facile da certi punti di vista e difficilissimo per altri, perché ci tocca nell’intimo di quella domanda che già aveva posto Augias e che una risposta prova a darla: consapevolezza. Conoscenza e consapevolezza. Se tutti noi crescessimo abbastanza da essere consapevoli di noi stessi e degli altri, non ci sarebberero organismi per “proteggerci” perché non ci sarebbe più nessun pericolo: una soluzione semplicissima, no?
Veniamo ora all’ultimo libro, che pone un’ultima domandina facile facile: supponiamo di vivere in una qualunque gabbia (le sbarre non si vedono, ma sono ovunque e ce ne costruiamo di continuo: penso per esempio alle abitudini, alle consuetudini, tutte quelle cose che ci fanno vivere la nostra vita in modo tranquillo e senza scossoni), ebbene, in questo caso che senso ha parlare di libertà? Che libertà possono avere le api per esempio, o qualunque altro animale, che rispondono solo alle leggi del proprio istinto? Non so perché, ma il finale di “Bees. La fortezza delle api” mi ha ha evocato invece una libertà assoluta, un inno alla vita così grande da annullare nella sua maestosità qualunque pretesa di libertà perché è esso stesso libertà. Ma anche qui dobbiamo andare con ordine e partire dal libro: Laline Paull ci porta all’interno di un alveare dove tutto è rigidamente strutturato e organizzato dalla casta delle Salvia, sacerdotesse che, basando la propria ragion di stato sull’unica legge “Accettare Obbedire Servire”, decidono chi resta e chi va, che fa cosa e quando, chi vive e chi muore. Una legge che Flora 717, una semplice ape operaia, sente via via più stretta e ingiusta, soprattutto quando sente scorrere in sé la possibilità di generare la vita e scopre aspetti misteriosi e inquietanti del suo condominio di cera. Una bella storia, vista sicuramente da una prospettiva unica ed inusitata, che apre tanti spunti di riflessione, come accennavo sopra, e che parla anche di quegli insetti benedetti che, tra gli altri, rendono possibile il rinnovarsi della vita su questa terra e che noi bombardiamo di veleni chimici. Per chi volesse approfondire l’argomento Api consigliamo l’ottimo saggio “Il linguaggio delle api”, di Karl von Frisch, di cui qui diamo il link all’approfondimento.
Speriamo di aver dato alcuni spunti di riflessione e naturalmente invitiamo tutti a partecipare proponendo nei commenti altri testi.
Che la libertà sia con voi.